Michele, dal quartiere Porto Torres a Londra tra mille peripezie. Quando cambiare Paese non basta.

É ormai triste consuetudine in Italia, da anni, il fenomeno noto come "fuga di cervelli", ossia l'emigrazione di giovani pieni di talento o alta specializzazione professionale, verso paesi stranieri - primo tra tutti il Regno Unito - in cerca di una migliore carriera. A tal proposito, i dati dell’ISTAT sottolineano uno scenario netto: nell'ultimo decennio sono stati 182mila i laureati emigrati all’estero, circa a il 6% di tutti i laureati italiani. Una percentuale altissima, che coincide con la perdita di una grande fascia di chi può far crescere il nostro paese, di chi sa innovare, di chi può contribuire, con le proprie energie e competenze, a tirare fuori l’Italia dalla spirale di crisi - economica, demografica, educativa e occupazionale – in cui si è avviluppata.


Eppure, per quanto ci si sforzi, non si può comprendere fino in fondo, senza viverlo, quanto difficoltoso e doloroso possa essere il percorso di questi ragazzi che, non sentendosi valorizzati come risorsa, si organizzano per fare le valigie, spesso a malincuore. Talvolta, infatti, perdiamo di vista il fatto che, dietro a numeri e statistiche, vi siano vite vere, persone che hanno compiuto un percorso e che continuano a lottare ogni giorno.
E queste vite,ogni tanto, meritano di essere raccontate, come ad esempio l'esperienza di un nostro conterraneo di Porto Torres, Michele, che è stata per noi causa di stupore, ma anche di ammirazione nei confronti di un'innegabile tenacia. Un'importante testimonianza di come non sia tutto 'rose e fiori' quando si abbandona la madrepatria.
Ma partiamo dall'inizio.


Nato da genitori giovanissimi, Michele dimostra sin da subito un animo particolarmente introverso e sensibile, manifestando, peraltro, una predilezione per lo sport della danza rispetto ad una più comune Scuola di calcio.
Proprio mediante la pratica di tale disciplina negli anni impara a sviluppare quella personalità diligente e metodica che,unita al desiderio di riscatto sociale, lo porterà ad intraprendere il sogno di diventare un insegnante; si iscrive perciò al liceo classico, affrontando con determinazione le prime difficoltà incontrate negli studi, superandole con successo, e concentrandosi su esse anche a costo di mettere da parte la sua passione per la danza. Riesce a diplomarsi, e nello stesso anno decide di fare ingresso nella facoltà di Scienze Motorie, purtroppo non senza problemi: avendo infatti riscontrato un problema di salute che invalidava le prove mediche, l'ammissione stessa al corso risultava a rischio. Ma Michele insiste, si impegna per dare un senso a tutti questi anni di sport, tutto ciò anche grazie alla forza d'animo e ai consigli sua madre, sempre presente. Dopo che gli ultimi accertamenti vanno a buon fine, risulta idoneo alle prove mediche e passa il test, diventando quindi un universitario a tutti gli effetti.


Ma le giornate di questo ragazzo, pieno di volontà, non si limitano a qualche ora di studio: nel corso degli anni, infatti, oltre a dare esami dà sfoggio di un'ammirevole intraprendenza: a 20 anni comincia a lavorare per sostenersi agli studi, come peratore telefonico e istruttore di ginnastica dolce per anziani, a soli 23 anni fonda con sua madre un'associazione culturale, che oltre ad essere un supporto post-scolastico per le famiglie, diventa anche centro di volontariato per il quartiere, inoltre grazie all'assessore alla cultura del tempo riesce ad organizzare anche un evento culturale a carnevale.

Il tempo continua a passare tra mille impegni - ad esempio, come se non bastasse, il lavoro di animatore per bambini nel weekend e di volontario coi disabili nell'Unitalsi-, e Michele alla fine si vede costretto a chiudere a malincuore l'associazione poiché in ritardo con gli studi. Era luglio 2015. A dicembre, sostenuti in tempo record gli ultimi esami, si laurea alla triennale.
Conseguito successivamente anche il titolo magistrale in due anni, ha inizio per lui un piccolo calvario. Partecipa alle graduatorie Coni per insegnare educazione Fisica nelle scuole primarie, ottenendo un contratto di sette ore nella scuola di Adelfia, nello stesso anno consegue un master a Napoli in psicomotricità - viaggiando con fatica da Bari una volta a settimana-, inoltre manda in tutte le scuole italiane la messa a disposizione e con inarrestabile tenacia si adopera per aumentare il suo punteggio con il corso EIPASS teacher per l'uso della LIM, continuando comunque a mandare curricula. Partecipa alle cattedre messe a disposizione del Coni ottenendo ancora una volta solo 7 ore alla settimana, troppo poche per un ragazzo di 32 anni che ha voglia di distaccarsi dalla propria famiglia per crearne una propria.
Un desiderio talmente forte, che lo spinge a guardare oltre questa realtà in cui continua a barcamenarsi e ad ad annaspare suo malgrado, tenendo d'occhio anche gli annunci di ricerca di insegnanti di educazione fisica nel Regno Unito.


Nel frattempo, come non bastasse, arriva marzo 2020, e con esso la pandemia.
I lavoratori iniziano ad avere a che fare con lo smart working, ma ce n'è per l'appunto una categoria che viene abbandonata completamente a se stessa, non essendo possibile, com'è noto, il contatto con la gente: gli insegnanti di educazione fisica. Preso, così, dallo sconforto generale, al quale si sommano situazioni non facili di natura familiare e perfino la posticipazione di un concorso per la scuola di specializzazione sul sostegno, il nostro Michele prende la coraggiosa decisione di seguire le orme di suo fratello e partire per Londra- non prima, però, di portare a termine l'ennesimo traguardo, vale a dire una certificazione di lingua inglese presso il Cambridge centre a Bari, prendendo la macchina per la prima volta nel bel mezzo del clima tutt'altro che rassicurante che abbiamo imparato a conoscere dalle immagini in televisione. Ma quando c'è la passione, si fa anche questo.-
Il 6 luglio Michele è a Londra, invaso, com'è intuibile, da una miriade di emozioni, quali la paura del contagio, l'ansia di un mondo sconosciuto, ma, più forte di tutte, il desiderio di scappare dal proprio paese, un paese che non gli ha restituito il frutto della dedizione e dello zelo da sempre profusi.


Dunque si reca in diverse scuole per consegnare il proprio curriculum, e parallelamente comincia a cercare qualunque altro tipo di lavoro, dall'addetto alle pulizie al cosiddetto Nanny, come è uso chiamare a Londra il baby sitter, o bambinaio. Difatti due settimane fa' affronta, mediante un'agenzia, un colloquio proprio come Nanny, che sembra essere andato a buon fine.
"Sembra" é effettivamente il termine più addetto.


Succede, cioè, che nel format da compilare gli vengono richiesti due contatti, e lui, considerandolo un semplice cavillo burocratico di poco conto, indica due numeri di telefono senza pensarci troppo. Superato, quindi, il primo colloquio, ne sostiene un altro con la famiglia per la quale dovrà lavorare, e anche questo va bene; ma a questo punto viene chiamato dalla direttrice dell'agenzia, la quale gli richiede di poter parlare con qualcuno con cui abbia lavorato. Qui Michele risponde che in effetti è un po' difficile che ciò avvenga, in quanto in Italia non esiste quest'usanza, quella delle referenze che attestino la veridicità delle proprie competenze, e che funziona tutto tramite contratto,soprattutto in un ambiente come la scuola; invia quindi il suo contratto alla famiglia, che però non lo accetta in quanto da solo non basta.


E così a Michele diviene sempre più chiaro che quello che credeva fosse un semplice cavillo burocratico, a Londra è ciò che può invece concretamente determinare, o meno, l'ottenimento di un posto di lavoro. Armatosi dunque di pazienza, contatta due maestre con cui aveva lavorato, ad Adelfia e a Modugno, che fortunatamente si prestano a scrivere una bella recensione a riguardo, eppure neanche questo basta, in quanto gli viene risposto che non avrebbe potuto nemmeno avere accesso alla prova di lavoro con la famiglia se non avessero ottenuto qualcosa che attestasse che quei due contatti erano reali insegnanti. Da non credere, eppure anche stavolta il giovane si mette alla ricerca di informazioni su Google e fortunatamente individua questi due contatti negli elenchi delle scuole in cui aveva lavorato.


Ma la lista di verifiche non finisce qui: gli viene richiesto infatti il DBS, un certificato penale che è, in pratica, un documento che certifichi l’esistenza o l’inesistenza di antecedenti penali sul tuo conto, per poter lavorare coi bambini; inoltre gli si richiede di controllare il National Insurance Number -simile al nostro codice fiscale, per intenderci-, ma anche il passaporto, e perfino il contratto relativo alla casa. Ma c'è un'ultima ciliegina sulla torta, per non farci mancare proprio nulla, infatti Michele ha dovuto dimostrare anche l'esistenza dell'associazione culturale "Wonderland" sopra citata, (creata proprio qui a Modugno anni prima con sua madre), la quale era poi stata chiusa per dedicarsi completamente allo studio. Solo A questo punto, finalmente, gli viene data l'approvazione per fare la prima prova come Nanny in una famiglia in cui la mamma, per metà italiana, vorrebbe che lui parlasse appunto italiano con sua figlia. Stessa meticolosa indagine per ciò che concerne l'ammissione al corso di abilitazione all'insegnamento nel Regno Unito, (QTS), poiché il Dipartimento dell'Educazione ha voluto verificare anch'esso la sua laurea non solo mediante documento cartaceo, ma pretendendo di parlare di lui con dei suoi professori: esigenze difficili da accontentare, in quanto si tratta di usanze impensabili in Italia, ma di importanza primaria in Inghilterra se si vuole lavorare, senza cui è più probabile rifare le valigie.


In seguito a questo calvario, solo oggi Michele si accinge ad avere la sua prima esperienza lavorativa Londinese, orgoglioso ma comprensibilmente un po' scosso e anche un po' offeso dalle mille peripezie burocratiche, e sostanzialmente dal fatto che lì dov'è abbiano messo in dubbio un po' tutto ciò che lo riguardasse, fino all'ultimo dettaglio, con una sorta di diffidenza che ha dovuto lottare per superare.
E se pur vero che, ancora per poco, l'Inghilterra è ancora membro dell'Unione Europea proprio come lo sono quei giovani laureati italiani pieni di speranze che partono alla ricerca di una carriera migliore, è bene sapere che non c'è nessuno a stendere a loro un tappeto rosso e ad offrire loro la vita facile, e che non basta uno "schiocco di dita" per trovare lavoro solo perché ci si è trasferiti nel "paese delle grandi opportunità".


Abbiamo voluto raccontarvi questa lunga storia, nel dettaglio, perché crediamo che sia importante un'opera di sensibilizzazione, nel proprio piccolo, per non lasciare che continui questa indifferenza nei confronti di questi ragazzi, che oltre a "cifre", come Michele sono in realtà vite intere passate a lottare, molte volte sprecate per questo paese, molte volte abbandonate a se stesse, che invece di sentirsi spronati a dare il meglio di sé si sentono sminuiti e sconfortati fino a pensare che sia stato uno sbaglio intraprendere un percorso di studi, quando invece è, a tutti gli effetti, un valore aggiunto.

Il punto è che, essendo un valore, deve essere valorizzato.
Il nostro augurio di cuore va a Michele, che realizzi tutti i suoi sogni con la rara forza d'animo di cui dispone, senza lasciare che le amarezze di questo percorso intacchino la sua sensibilità, e a tutti i ragazzi che stanno ancora percorrendo la propria strada incerta, sperando che si riesca a comprendere che siete la prima risorsa di questo paese, che senza di voi continuerebbe ad invecchiare e a ristagnare e nei propri errori.
Forza!


-Erika Lando

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